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Naima SABER, 1980, Khouribga (Marocco)
1. Cosa l’ha spinta a lasciare il Marocco? Quando ha capito che era arrivato il momento di trasferirsi? Perché ha scelto l’Italia come destinazione?
Fin da giovane ero una studentessa diligente, ma con tutte le mie sorelle già trasferite in Italia, il mio pensiero fisso era raggiungerle. Per me, l’Italia rappresentava una sorta di “sogno americano”: una terra di opportunità e ricongiungimento familiare. A 17 anni mi sono fidanzata ufficialmente con quello che sarebbe diventato mio marito, il quale viveva già in Italia. Dopo il matrimonio, è stato naturale trasferirmi con lui tramite il ricongiungimento familiare. Questo mi ha permesso di entrare legalmente nel paese e di riunirmi anche con la mia famiglia, già in Italia da qualche anno.
Una volta arrivata, ho subito cercato di integrarmi, imparando la lingua e familiarizzandomi con gli usi e i costumi italiani. È stato un periodo intenso, ma pieno di entusiasmo, perché significava iniziare una nuova vita accanto alla mia famiglia e al mio partner.
2. Come si è svolto il suo arrivo in Italia? È riuscita ad integrarsi facilmente nella nuova realtà? Ha avuto accesso fin da subito a servizi come l'istruzione, il lavoro, l'apprendimento della lingua?
Sono arrivata in Italia nel 1999 con un volo Casablanca-Milano, grazie a un visto Schengen che mi ha permesso di entrare in modo sicuro e legale. Fin da subito ho percepito l’Italia come una seconda casa, e questo ha reso il processo di integrazione più rapido e naturale.
Tuttavia, nei primi anni 2000, l’accesso all’istruzione per gli stranieri non era semplice, e a Torino le strutture che offrivano corsi di lingua erano limitate. Nonostante ciò, ho imparato l’italiano grazie alle persone che ho incontrato e alla televisione, che mi ha aiutato a familiarizzare con la lingua e la cultura del paese. Solamente nel 2014, per adempiere al requisito necessario per ottenere la cittadinanza italiana, ho deciso di riprendere gli studi e ho frequentato la terza media. Questo passo è stato fondamentale per completare il percorso burocratico e personale verso l’ottenimento della cittadinanza. È stato un momento di grande orgoglio, perché rappresentava il coronamento di un lungo processo di integrazione e appartenenza all’Italia.
Dal punto di vista lavorativo, all’inizio la mancanza di padronanza linguistica è stata un ostacolo, e mi sono ritrovata a svolgere lavori che richiedevano poche interazioni verbali, come le pulizie. Con il tempo, però, ho acquisito una conoscenza di base della lingua, che mi ha permesso di ampliare le opportunità e integrarmi meglio nel tessuto sociale.
3. Secondo lei, l’Europa e l’Italia offrono abbastanza supporto per l’integrazione dei migranti? Se potesse suggerire un miglioramento delle politiche di accoglienza e integrazione, quale sarebbe?
L'Europa e l'Italia hanno fatto passi avanti significativi nell'offrire supporto per l'integrazione dei migranti, ma ritengo che ci sia ancora molto da migliorare. Spesso le risorse sono distribuite in modo disomogeneo e mancano programmi a lungo termine per favorire l'integrazione lavorativa e culturale. Un miglioramento potrebbe essere quello di potenziare i corsi di lingua e di formazione professionale, oltre a creare reti locali di sostegno per facilitare il dialogo interculturale.
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4. Qual è la sua opinione sulle politiche europee in materia di immigrazione? Pensa che siano efficaci nel rispondere ai bisogni dei migranti e dei rifugiati, o ritiene che ci siano aspetti da migliorare?
Le politiche europee sull’immigrazione sono un mix di misure utili e limiti evidenti. Da una parte, ci sono iniziative importanti, come i programmi di protezione internazionale per i rifugiati, ma spesso queste politiche sembrano concentrate più sul controllo delle frontiere che sul soddisfare i reali bisogni dei migranti. Molti rifugiati e migranti affrontano lunghi tempi di attesa per avere documenti o accedere ai servizi essenziali, come l’alloggio e l’istruzione.
Penso che manchi una visione solidale e coordinata tra i Paesi europei: ogni Stato applica regole diverse e questo crea disuguaglianze. Si dovrebbe puntare su un sistema più uniforme che preveda percorsi chiari di accoglienza, con accesso facilitato al lavoro, alla formazione e a programmi di integrazione culturale. Inoltre, sarebbe fondamentale aumentare i finanziamenti per sostenere le comunità locali che si occupano direttamente dei migranti, creando un ambiente più inclusivo e meno conflittuale.
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